AMIANTO E MARITTIMI
Brevi appunti operativi
L’attività svolta dal personale imbarcato in moto/navi – turbo/navi nel corso degli anni, soprattutto a bordo di navi di vecchia costruzione (antecedenti agli anni 90) ha certamente comportato un’esposizione a fibre di amianto posto che, come è noto, tale materiale è stato costantemente ed abbondantemente utilizzato nell’ambito della cantieristica navale.
Con queste brevi note cercheremo di riassumere quali diritti in capo ai lavoratori ed eventuali aventi causa (vedove, figli e altri eventuali eredi) possono derivare dall’esposizione ad amianto subita dai marittimi durante la loro attività lavorativa.
– I –
BENEFICI PREVIDENZIALI
c.d. “Legge Amianto”
Il comma VIII dell’art. 13 della L. 257/92 come modificato dalla Legge legge del 4 agosto 1993 n. 271 testualmente recita:
“Per i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni, l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita dall’Inail, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5”.
Gli orientamenti interpretativi relativamente a questa norma che nel corso degli anni si sono consolidati sono noti: il lavoratore che riteneva di essere stato esposto all’amianto per almeno dieci anni che non fosse già titolare di pensione di anzianità o di vecchiaia ovvero di inabilità alla data di entrata in vigore della L. 257/92 (28 aprile 1992) e che non avesse già maturato una anzianità contributiva pari a 40 anni (la massima consentita) poteva chiedere giudizialmente, in ogni momento, di provare il fatto costitutivo del proprio diritto (esposizione ad amianto) e chiedere conseguentemente la condanna dell’INPS (ovvero di altro ente erogatore del trattamento pensionistico) – unico contraddittore – ad effettuare la rivalutazione della propria anzianità contributiva relativamente al periodo di esposizione ad amianto per il coefficiente di 1,5.
Sennonché il legislatore, con un blitz (ci si permetta il termine), con il D.L. 30 settembre 2003 (entrato in vigore il successivo 1° ottobre 2003) – non a caso rubricato “disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici” – interviene nell’ambito della normativa relativa alla applicazione dei benefici della c.d. legge amianto stabilendo che
“1. A decorrere dal 1° ottobre 2003, il coefficiente stabilito dall’articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, è ridotto da 1,5 a 1,25. Con la stessa decorrenza, il predetto coefficiente moltiplicatore si applica ai soli fini della determinazione dell’ importo delle prestazioni pensionistiche e non della maturazione del diritto di accesso alle medesime.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai lavoratori a cui sono state rilasciate dall’ INAIL le certificazioni relative all’esposizione all’ amianto sulla base degli atti d’indirizzo emanati sulla materia dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali antecedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto.
3.Con la stessa decorrenza prevista al comma 1, i benefici di cui all’articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, sono concessi esclusivamente ai lavoratori iscritti all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali, gestita dall’INAIL (1), che, per un periodo non inferiore a dieci anni, sono stati esposti all’amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno. I predetti limiti non si applicano ai lavoratori per i quali sia stata accertata una malattia professionale a causa dell’esposizione all’amianto, ai sensi del testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124.
4.La sussistenza e la durata dell’esposizione all’amianto di cui al comma 3 sono accertate e certificate dall’INAIL.
5. I lavoratori che intendano ottenere il riconoscimento dei benefici di cui al comma 3, compresi quelli a cui è stata rilasciata certificazione dall’INAIL prima dello ottobre 2003, devono presentare domanda alla Sede INAIL di residenza entro 180 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale di cui al comma 6, a pena di decadenza del diritto agli stessi benefici.
6. Le modalità di attuazione del presente articolo sono stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto”.
Con la Legge Finanziaria (24.12.2003 n. 350 art. 3 comma 132) il legislatore interviene nuovamente disponendo: “In favore di lavoratori che abbiano già maturato alla data del 2 ottobre 2003 il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’art. 13 comma 8 delle Legge 257/92 e successive modificazioni sono fatte salve le disposizioni previgenti alla medesima data del 2 ottobre 2003.
La disposizione di cui al primo periodo si applica anche a coloro che hanno avanzato domanda di riconoscimento all’INAIL o che ottengono sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data. Restano valide le certificazioni già rilasciate dall’INAIL”.
Premesso i sopra esposti riferimenti normativi possiamo ora riassumere, con particolare, riferimento ai marittimi, che per poter eventualmente beneficiare dell’aumento figurativo dei contributi di cui sopra il lavoratore:
deve avere presentato, entro la data del 15 giugno del 2005, domanda all’INAIL per ottenere i benefici previsti dalla legge citata;
deve, in caso di mancata o negativa risposta da parte dell’INAIL (ovvero dell’IPSEMA prima che tale Ente venisse assorbito dall’Inail) dimostrare di essere stato esposto ad amianto per un periodo di almeno dieci anni ovvero, ritenuto che i marittimo hanno fisiologicamente lunghi periodi di sbarco, pari ad almeno 521 settimane di contributi versati in relazione alla effettiva attività lavorativa;
In relazione a tale ultimo requisito (prova della esposizione ad amianto in misura superiore ad un limite stabilito dalla legge 100ff/litro) è utile avere copia dell’estratto matricola o libretto di navigazione dal quale risulti il ruolo ricoperto durante il periodo (mozzo, marinaio, ufficiale di coperta, ufficiale di macchina ecc…) sia per navi militari che mercantili.
Dobbiamo ancora sottolineare che in un eventuale giudizio la prova della esposizione può essere raggiunta con testimoni che confermino le effettive attività lavorative svolte dall’interessato, imbarco per imbarco.
Certamente per coloro che hanno ricoperto il ruolo di addetto apparato motore (sia ufficiali che non) la prova sarà più agevole poiché è noto che numerosi, anche durante la navigazione, erano gli interventi su impianti o parti di essi della sala macchine coibentati con amianto.
In ogni caso ciascuna posizione dovrà essere attentamente valutata per verificare se vi siano concrete probabilità di successo.
* * *
Sempre ai fini previdenziali, cioè al fine di vedere aumentare la propria posizione contributiva utile per il diritto a pensione o utile ai fini dell’aumento della misura della pensione, è opportuno fare cenno al comma VII del citato articolo 13 della legge 257/92 che prevede l’attribuzione dei benefici nel caso in cui a causa dell’esposizione ad amianto il lavoratore abbia contratto una malattia professionale riconosciuta come tale dall’INAIL.
In questo caso si prescinde dal minimo temporale dei dieci anni nonché dalla soglia minima di esposizione (100ff/litro) sopra citata.
Unico presupposto è l’avvenuto riconoscimento (anche in via giudiziale) di una malattia professionale amianto-correlata di cui andiamo a trattare nel successivo punto.
– II –
Riconoscimento di rendite o indennizzi da parte dell’INAIL (ex IPSEMA)
L’esposizione ad amianto, come accennato, può causare l’insorgenza di malattie quali, tra le più note: placche pleuriche, ispessimenti pleurici, asbestosi, mesotelioma pleurico, tumori al polmone ed altre forme tumorali.
L’INAIL per legge garantisce l’erogazione di provvidenze economiche sia in forma di una tantum che di rendita mensile quanto una data patologia sia stata causata o concausata dall’esposizione a rischio subita nel corso dell’attività lavorativa.
Nel caso dei marittimi, diciamo subito, che l’eventuale esposizione al rischio, nel nostro caso ad amianto, deve essere stata subita a bordo di navi battenti bandiera nazionale.
La procedura prevede la presentazione di una domanda amministrativa all’esito della quale, in caso di mancato accoglimento, si potrà adire l’autorità giudiziaria.
Anche in questo caso bisogna dare la prova dell’esposizione ad amianto; la prova, però, sarà certamente più facile perché non necessariamente bisogna dimostrare il superamento della soglia di 100ff/litro.
Le provvidenze economiche spettano in primis al lavoratore e al coniuge superstite nel caso in cui il decesso del lavoratore sia stato causato o concausato dalla malattia professionale (cd. Rendita ai superstiti).
Come detto l’INAIL eroga:
una somma una tantum a titolo di danno biologico nel caso in cui la MP professionale comporti una invalidità permanente (c.d. IP) pari al 6% e non superiore al 15%,
una rendita mensile nel caso di IP dal 16% in su.
La rendita ai superstiti spetta sotto forma di rendita mensile vitalizia.
Anche in questi casi sarà necessario valutare caso per caso la eventuale fattibilità di un contenzioso giudiziario.
– III –
Risarcimento dei danni contro il (od i ) datore/i di lavoro per danno biologico
Nel caso in cui un lavoratore si ammali a causa dell’attività lavorativa (per malattie correlate ad esposizione ad amianto così come per ogni altra malattia collegata al lavoro) vi è la possibilità, in presenza di determinati presupposti fattuali, di poter chiedere il risarcimento dei danni subiti alla propria integrità psico-fisica al datore di lavoro (armatore), oltre – e quindi in aggiunta – a quanto eventualmente ottenuto (in presenza dei presupposti di legge) da parte dell’Inail sulla base di quanto esposto nel paragrafo precedente.
Tale facoltà spetta personalmente anche ai parenti stretti (coniuge, figli, ascendenti e fratelli) di colui che dovesse perdere la vita a causa della malattia professionale.
Le fonti normative su cui basare la responsabilità del datore di lavoro in ordine alla lesione dell’integrità psico-fisica dei propri dipendenti possono individuarsi nell’art. 38 della Costituzione, negli art.. 2087 c.c. e 2043 c.c. nonché nella violazione delle norme speciali volte alla tutela della salute dei lavorati.
La Corte di Cassazione ha ribadito che la normativa speciale di prevenzione non esaurisce l’obbligo di prevenzione e profilassi del datore di lavoro rispetto ai lavoratori poiché si deve tener conto anche dell’art. 2087 cod.civ. che, nel sancire come dovere fondamentale dell’imprenditore quello di provvedere alla tutela della integrità fisica del prestatore d’opera, ha un valore sussidiario rispetto appunto alla normativa speciale dettata per la prevenzione degli infortuni sul lavoro in quanto presuppone che risultino insufficienti o inadeguate le misure all’uopo previste dalla detta normativa speciale (cfr. Cass. Civile sezione lavoro 09 maggio 1998, n. 4721).
L’art. 2087 c.c. insomma, secondo detto autorevole e ormai consolidato orientamento, “impone un obbligo dell’imprenditore di adottare, indipendentemente dalle disposizioni antinfortunistiche predisposte dalla legge in via generale o in relazione a determinate attività lavorative, tutte le cautele necessarie, secondo l’esperienza e la tecnica, a tutelare l’integrità fisica dei dipendenti, anche quando questi siano stati regolarmente assicurati” (cfr. Cass. citata).
La norma contenuta nell’art. 2087 c.c. è “in sostanza una norma aperta volta a supplire alle lacune di una disciplina speciale che non può prevedere ogni fattore di rischio. Una norma, tra l’altro, che tiene conto del fatto che la violazione di norme di prevenzione speciale resta sovente impunita per le gravi carenze strutturali ed organizzative degli organismi preposti ai controlli ed alla vigilanza” (cfr. Cass. citata).
Nell’ambito della applicazione dei principi sopra esposti la Corte di Cassazione ha altresì specificato che onere del lavoratore, che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, è quello di provare l’esistenza del danno, la nocività dell’ambiente di lavoro ed il nesso causale tra l’uno e l’altro.
Il datore di lavoro di contro una volta fornita detta prova deve ritenersi responsabile in relazione al danno lamentato dal lavoratore a meno che il primo (datore di lavoro) non dia la prova di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno alla salute dei propri dipendenti.
E’ stato altresì specificato , per completezza, che la responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c. non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva posto che “deve negarsi la responsabilità ogni volta che la prestazione non era eseguibile, la diligenza richiesta non era esigibile” e che “non può pretendersi l’adozione di accorgimenti per fronteggiare evenienze infortunistiche assolutamente impensabili ed eccezionali alla comune esperienza” (cfr. Cass. citata).
Alla luce di quanto sopra esposto nell’ambito dell’attività svolta a bordo di navi, sappiamo che le stesse, di regola, non erano dotate di alcun strumento e/o impianto e/o misura atta ad evitare il contatto (o meglio l’esposizione) dei lavoratori ad amianto.
In eventuali contenziosi giudiziari sarà pertanto per i lavoratori (o i suoi eredi) sufficiente provare la nocività dell’ambiente di lavoro, la malattia contratta ed il nesso causale.
La misura del risarcimento varia da caso a caso ma di norma rappresenta importi rilevanti (mediamente nell’ordine di forti somme anche se, ovviamente purtroppo, in misura sempre insufficiente a riparare la perdita della vita o il bene primario che è la salute.
Anche per queste ipotesi molto importante è la disamina di ogni singolo caso onde poter dare i consigli migliori per la tutela dei diritti.
Avv. Prof. Carlo Golda
Professore a contratto
nell’Università di Genova
Gli interessati possono prendere contatto con il v.presidente com.te Andrea Allotta andrea.allotta@cosmar.org cell. 347 422 5863 o scrivere a segreteria@cosmar.org cell 329 455 5682
Ad maiora…!