Di Carlo Rondoni
Agosto 1950, ore dodici, quattro napoletani – Franco Aversa, Michele Montuori, suo figlio Peppino e chi scrive – arrivano sulla banchina dello Yacht Club Italiano di Genova per prendere possesso dell’8 m S.I. Italia, Medaglia d’Oro alle olimpiadi di Kiel nel 1936, appena varato dal Cantiere di Voltri dove aveva trovato rifugio durante gli anni della seconda guerra mondiale. Dimenticavo, i quattro non erano soli ma avevano con se un glorioso cimelio affidatogli a Napoli dall’avv. Luigi Mazzella, vice Presidente del Club Nautico, appassionato velico partenopeo che aveva acquisito Italia: una cassetta di mogano, simile a quelle dei famosi orologi di bordo inglesi, contenente una bussola magnetica che avrebbe accompagnato Italia nella navigazione da Genova a Napoli. Occorre ricordare che allora, parliamo di circa cinquant’anni fa, le barche da regata a vela, seppur medagliate ad una olimpiade, non avevano alcuna strumentazione elettronica, tantomeno un motore ausiliario e navigavano affidate soltanto al buon senso ed all’esperienza del comandante.
Si parte da Genova e si fa rotta per Portofino dove il sottoscritto aveva reminiscenze mercantili acquisite durante le Settimane Veliche di Genova le quali, causa la distruzione per eventi bellici dello Yacht Club Italiano, erano state organizzate per diversi anni a Portofino. Una breve sosta per fare cambusa, per riempire alcune damigiane di acqua potabile, e via. Si naviga ininterrottamente giorno e notte con brevi turni di riposo, resi quasi necessari da uno stato di eccitazione che i quattro non riuscivano a placare, e derivante dall’essere consapevoli di avere il privilegio di vivere quest’avventura.
Comodità a bordo non ve ne sono, di cucine nemmeno a parlarne, a stento un bugliolo senza svuotamento automatico. Una cucina da campo americana a gas di benzina, residuato bellico acquistato nel campo ARAR di Arzano, mantenuta in sospensione da quattro cime nel pozzetto sotto il verricello del fiocco, è riuscita a placare la nostalgia dello spaghetto al pomodoro; all’altra deficienza si sopperisce appollaiandosi a prua, dietro il fiocco Genoa che era colto in coperta, quasi come uccellini appollaiati su di un ramo.
Ma tutto era magnifico e si completava con la bellezza della navigazione di bolina che ci avvicinava al golfo partenopeo. E’ rimasto vivo il passaggio tra Piombino e l’isola d’Elba, dove il vento soffia sempre più forte per la presenza, dicono, di zone ricche di ferro. Il capitano Michele avvolto in una coperta di lana, non c’erano allora le mute e le altre diavolerie che oggi rendono facile la vita con qualsiasi condizione climatica, abbracciato alla barra del timone, tirava dritto mentre Franco Aversa, aiutandosi con il Portolano ed un binocolo, cercava di stabilire, più o meno, dove ci trovavamo. Naturalmente non si era in grado di dare notizie a Napoli per mancanza di qualsiasi mezzo di comunicazione.
E così, doppiato lo scoglio della Giraglia, le secche di Vada, Punta Ala, il Circeo, le Isole Pontine, finalmente, dopo circa sei giorni di navigazione, viene avvistata Ischia.
A questo punto, il clou della traversata! Italia entra nel porto di Ischia dove era ormeggiato il famoso J Wings, di proprietà Solvey, vincitore di una barca di coppe ed il cui capitano è il fratello del capitano Michele al timone di Italia; si compie una veloce virata al centro del porto assicurandosi che il Wings avrebbe telefonato al Club Nautico per avvisare che entro un paio d’ore Italia sarebbe entrato nel porticciolo di Santa Lucia. Si fa rotta per Capo Miseno e si naviga insieme ai Linghnting che stanno compiendo la regata Napoli-Procida-Napoli organizzata nel programma della Settimana Velica di Napoli. Saluti, scambio di commenti, e si entra nel porticciolo di Santa Lucia accolti da una trezziola di fuochi d’artificio, suoni di sirene e battimani dalle terrazze dei Circoli prospicienti il porticciolo. La consegna all’avv. Mazzella della cassetta contenente la bussola magnetica sigilla l’epilogo della spedizione.
Fonte Centro Studi Tradizioni Nautiche